Letture al tempo del “coIera”

Caro amante della carta e della penna, come stai? Come passi le tue giornate, durante questa inattività forzata o quasi? La quarantena ti svilisce? Eccomi qua! Oggi ti darò dei consigli un po’ speciali, raccontandoti ciò che mi sta più a cuore…

“Leggere è andare incontro a qualcosa che sta per essere e ancora nessuno sa cosa sarà.” – Italo Calvino

E’ così per me e, immagino, sia così anche per te, che ami scrivere ma, prima ancora di far uscire i personaggi da dentro la tua testa, lasciandoli passeggiare sopra al tuo cuore, hai avuto e hai sempre bisogno di leggere e scoprire i fatti, le avventure, le cose che capitano ai piccoli e ai grandi della Storia, sia essa realtà oppure finzione o una cosa a metà tra la prima e la seconda. Perché è questo che fa la letteratura: apre delle porte, ti fa viaggiare a curvatura nello spazio e nel tempo, ti porta contemporaneamente in posti che non riusciresti mai a raggiungere, in galassie di cui, fino a qualche attimo prima, ignoravi l’esistenza, ti teletrasporta dentro la testa delle persone e ti permette di condividere un frammento della loro personalissima ed umana esperienza. Io ho scoperto questa magia per caso, come credo capiti a tutti i bambini sulla faccia della terra: fino alla terza elementare leggevo ma senza un particolare interesse, ricordo che mi portavo sempre dietro un vecchio libro di mia madre intitolato “Storia di una bambina e di una bambola”, più che altro perché mi piaceva molto la sua copertina, ne seguivo alcuni paragrafi, facevo un segno con la matita per non dimenticare il punto da cui riprendere e lo rimettevo via. Non mi è rimasta alcuna traccia mnestica di quella storia, delle parole lette. Era più che altro un esercizio, credo, qualcosa per affinare la mia innata capacità di lettura veloce.

E poi, un giorno della mia quarta elementare, alla veneranda età di quasi 9 anni feci l’incontro che cambiò per sempre la mia vita: dentro all’armadio della mia classe, una mattina in cui toccava a me riordinare i materiali dedicati alle molteplici attività, mi capitò tra le mani un’edizione tascabile di un romanzo che mi stregò fin dalla prima pagina: “Il Corsaro Nero”.

Per quel Corsaro impavido dal passato tragico, che aveva perso i fratelli e gli affetti più cari, che solcava i mari assieme ai suoi fidi marinai, per quegli oceani multicolori, per quella società piratesca che ribolliva di vita e di promesse che non si estinguevano mai, per la jungla lussureggiante, per i pappagalli e le tigri, per tutto questo ma principalmente per lui, io persi la testa, il cuore, l’anima e tutto accadde così rapidamente che, per ulteriori 10 anni, ad ogni compleanno, chiedevo a chiunque di regalarmi un libro, possibilmente di Emilio Salgari ma qualsiasi cosa sarebbe andata bene, purché avesse una storia da seguire e delle pagine di carta da tenere strette tra le dita.

“Guarda lassù: il Corsaro Nero piange!” – E. Salgari

Ed Io piansi con lui. Fu il primo ad insegnarmi l’enorme potere della letteratura: creare le storie, fartele vivere, permettendoti di schierarti, di arrabbiarti, di gioire, di parteggiare, di entrare nella situazione, di sognare un finale diverso da quello appena letto. Perché se Salgari poteva permettersi di lasciare il Corsaro Nero a piangere per la propria amata, io invece no, desideravo consolarlo, rimetterlo in pista. Chi era questo Salgari, era forse un mago, che aveva potere di vita e di morte, che dispensava gioie e dolori ai propri personaggi? Non avrei potuto forse farlo anche io? Mettere in scena i miei sogni, dar loro ali e voce e farli partire per nuove avventure che soddisfacessero i desideri del mio cuore? Dalla lettura alla scrittura il passo è stato breve, oserei dire quasi naturale. Ho iniziato a leggere in quarta elementare, ad immedesimarmi nei personaggi e nelle storie in quinta e in prima media…”voilà”, ho incominciato a produrre le mie prime storie di carta, per tenere compagnia alle amiche.

All’inizio erano tutte un pullulare di pirati e principesse, prahos e caravelle, jungle ed animali esotici, non avevano una fine, perché i nostri amori erano osteggiati, perché vivevamo ancora in tempi in cui “fidanzarsi in casa” era praticamente considerata una promessa di matrimonio.

Ricordo mio padre, un uomo all’antica, un siciliano puro e duro, trapiantato al Nord, che mi guardava negli occhi e mi ripeteva “Io non voglio sapere niente, guai se qualcuno arriva a casa…Quando sentirai suonare le campane allora vorrà dire che è quello giusto…” e queste benedette campane di certo non avrebbero potuto suonare in mezzo alla jungla o nel mar dei Caraibi, di fronte all’isola della Tortuga! Non ho mai capito quali fossero le campane da sentire, ad ogni modo una cosa mi era stata chiara sin da subito: se avessi incontrato l’amore sulla mia strada, non solo avrei dovuto lottare, come e più delle eroine di Salgari per potermelo tenere stretto ma avrei anche dovuto nasconderlo e tenerlo al sicuro, finchè, appunto, i tempi non fossero stati maturi (con mio padre non si scherzava sull’argomento).

Non trovai nascondiglio migliore delle pagine di un libro. Scritto da me oppure da altri poco importava, bastava che riuscisse a farmi raggiungere i miei sogni ogni volta che lo avessi desiderato.

Perciò eccomi qua! Oggi niente consigli pratici ma consigli di lettura! Ho voglia di mettere in comune con te, amante delle parole scritte e di quelle ancora da scrivere, in ordine sparso, alcuni titoli che hanno fatto la storia, nel bene e nel male, della mia anima. Chissà che qualcuno non risuoni anche al tuo orecchio? A furia di accordarci forse, un giorno, potremmo addirittura mettere in scena un concerto e scrivere un romanzo a più mani…

 

  • 1

    Il libro che ho più amato…La Palma Res va a “L’ombra del Vento” di Carlos Ruiz Zafòn. Ricordo che lo lessi la prima volta su di un treno, ovviamente: stavo rientrando a casa da Torino a Trieste, era piena estate, il caldo era opprimente tanto più che, come spesso accade, l’aria condizionata a bordo treno era inesistente. Ci fu un guasto, poco dopo Milano, che ci fece accumulare almeno 4 ore di ritardo. I passeggeri protestavano, la gente, urlava, scendeva e risaliva sui vagoni, qualcuno, poverino, si era persino sentito male a causa della canicola, si mobilitò la Protezione Civile per distribuire ai malcapitati qualche bottiglietta di acqua. Mi escludo volontariamente dai malcapitati appena citati perché io, di tutto ciò, non ho quasi alcun ricordo. Ero talmente assorbita, catturata dal romanzo, dalla storia, dalla città di Barcellona, dai suoi misteri, che niente mi raggiunse, dentro al mio paradiso privato. Ad un certo punto fui scossa dalla voce del mio vicino di sedile che mi bussò sulla spalla e mi disse: “Ma lei non lo sente il caldo? Vuole scendere assieme agli altri?”. Non credo di avergli nemmeno risposto, a stento riuscii a mettere a fuoco il suo viso per qualche secondo, prima di ritornare dentro alle pagine di quel romanzo. Mai letto niente di più esaltante, invischiante, contorto, esagerato, splendido di quel libro: è davvero capace di gettarti dentro un sortilegio arcano. Ho letto altro, di Zafòn e devo ammettere che non mi è nemmeno piaciuto molto, non credo di averlo capito fino in fondo. Ma con “l’Ombra del Vento” è  stato amore a prima vita, un po’ come capita quando incontri la passione vera, quella che ti travolge e ti sconvolge, non importa quanto duri, sai solamente che nulla sarà più come prima quando sarà finita…

 

  • 2

    Il Romanzo che non ho capito: “Il Giovane Holden”. L’ho letto a 18 anni e speravo di trarne una grande ispirazione, E invece sono rimasta così delusa dal ragazzo che desidera fare “L’acchiappatore nella segale” che credo di aver lanciato il libro contro al muro appena l’ho finito, restituendolo immediatamente alla biblioteca della mia città. Penso proprio che mi sia sfuggita qualcosa. I 18 anni sono l’età dei sogni ad occhi aperti, delle grandi battaglie, degli ideali, il primo ingresso nella società, la patente, i viaggi, le giustificazioni che, a scuola, potevi finalmente firmarti da sola, le occupazioni, le rivendicazioni, le prime fughe di casa, dai genitori. Che cosa me ne potevo fare di uno, la cui massima aspirazione fosse quella di acchiappare i ragazzini prima che cadessero fuori dal campo di gioco? Sicuramente la metafora era profonda, doveva esserlo per forza a ma a me è completamente passata dinnanzi agli occhi senza che io la cogliessi. Magari tu, caro amico della carta e dell’inchiostro, me lo sai spiegare meglio?

  • 3

    Il romanzo che mi ha stupito. “Uccelli di Rovo”. Ricordo che mia madre, ad ogni estate, si portava in spiaggia una versione tascabile di questo romanzo, con la foto di Richard Chamberlain in copertina e mio padre che la prendeva costantemente in giro. La serie tv era dell’83, io sono del 79, di questo “Uccelli di Rovo” ne sentivo continuamente parlare, vedevo i grandi sghignazzare e le signore arrossire…Lo affrontai parecchi anni dopo, piena di pregiudizi, era l’anno 2006, uno dei miei ultimi viaggi in treno sulla medesima tratta in cui mi innamorai di Zafòn. Il romanzo è fantastico, un affresco incredibile dell’Australia di inizio 900, una storia di donne, di 3 generazioni femminili che si scontrano con la vita, con la durezza dell’esistere, con la supremazia del maschio e affronta tematiche come la Storia, la Morte, il Razzismo, la Lotta contro la discriminazione e l’amore, sì, c’è anche quello, l’amore vero, con la A maiuscola, ma non è tutto lì, è un distillato di vita che non si può riassumere e che vale davvero la pena di leggere. L’unico rimpianto che ho: di averlo terminato poco dopo la morte di mia madre. Non sono riuscita a raccontarle il finale.

  • 4

    Il romanzo che più mi ha fatto riflettere. Qui sono indecisa, perché ogni romanzo fa pensare, altrimenti sarebbe buono semplicemente per farne carta da macero. Il primo titolo che mi viene in mente è “Il Dio delle Piccole Cose” di Arundhati Roy. Non conoscevo nulla della società indiana. Del sistema delle caste avevo sentito parlare, lo avevo studiato a scuola. Ma il romanzo è un’altra cosa: un pungo nello stomaco, qualcosa che non si dimentica. Lungo, lento, pesante. L’ho trovato nel comodino di mia madre, una volta che lo stavo riordinando, credo fosse l’ultimo libro che stesse leggendo ma si doveva essere incagliata dopo le prime 50 o 60 pagine, lì ritrovai il segnalibro che le avevo regalato anni prima. L’ho preso in mano con diffidenza, più che altro come se fosse una sorta di passaggio di testimone da lei a me: di solito i nostri gusti letterari differivano; io amavo le storie e lei la storia vera, i romanzi storici in cui poca era la finzione e molta la realtà. Devo dire che questo romanzo è stato complicato, da leggere, da assimilare. E’ uno di quei romanzi contro i quali ho lottato, per i destini, per i concetti che ne stanno alla base, per il finale, che per me è stato troppo. Però è un’opera che sono felice di aver letto, perché mi ha arricchita, nonostante tutto. Grazie mamma, per il suggerimento!

  • 5

    Il classico che ho riletto di più…Lo confesso “Jane Eyre” di Charlotte Brontë. L’ho letto due volte: la prima, a 13 anni e mi innamorai perdutamente di Edward Rochester. Che ci volete fare: il bad guy che poi non è così bad, se non fosse stato per il passato sfortunato, per le disgrazie, per il temperamento, per le mille altre cose che in noi donne fanno umanamente presa e che ci scatenano la sindrome di Candy Candy, si è rubato il mio cuore e non me lo ha più restituito. L’ho riletto a 16 anni, con timore, perché stavo per entrare in collegio e ricordavo le vessazioni subite dalla protagonista, le ragazze che morivano di tisi o di influenza, l’acqua gelata nei catini per lavarsi al mattino. La mia esperienza, in un collegio femminile gestito da Religiose anziane ed accoglienti, è stata completamente diversa ma, di certo, non potevo saperlo prima di incominciare. Leggere di Jane, del suo coraggio, mi ha aiutata a prepararmi ed a sconfiggere il terrore per l’ignoto, sulle soglie di quella mia grande avventura. E l’ho riletto, ancora e ancora, magari saltando qualche passaggio che ormai conosco fin troppo bene: per la lirica delle parole, per la bellezza, per la purezza del sentimento, per la musicalità della lingua. L’ho letto in inglese ed in italiano e riesco ogni volta a coglierne una sfumatura che mi era sfuggita in precedenza.

Caro amico della carta reale o virtuale, 5 libri sono pochi, possiedo, come te immagino, una libreria che crolla sotto il peso della carta stampata e sulla quale accumulo titoli e copertine variopinte senza stancarmi mai. Ma, in questi tempi di emergenza e solitudine, di ritiro e riflessione, questi sono i 5 titoli che mi hanno bussato al cuore e che mi ha fatto piacere condividere con te.

E comunque, poiché, come dice Michel Houellebecq, “Vivere senza leggere è pericoloso, ci si deve accontentare della vita, e questo comporta notevoli rischi” non stanchiamoci mai di leggere. Nessuno di noi si vuole veramente accontentare…

E se tu hai altri 5 titoli che hai amato, oppure se detesti quelli che ho citato io, o se vuoi spiegarmi qualcosa che mi è sfuggito, fammelo sapere commentando l’articolo! Teniamo i virus alla larga, con la potenza delle parole…

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