Chi sono

Mi chiamo Annapaola Prestia e scrivo storie da quando ero una bambina. Ho scoperto presto che ciò che accade, nella vita, spesso non lo si può cambiare, mentre con i sogni, soprattutto quelli ad occhi aperti, è tutta un’altra storia.
In Sicilia, nel mio minuscolo paesino in provincia di Messina affacciato sul mare, risalendo dalla spiaggia, ero solita, fin da quando ne ho memoria, fermarmi, in mezzo alla polvere della strada sterrata, mano nella mano con mia madre, all’ombra di un grande albero di carrube, per sfuggire alla canicola del mezzogiorno ed approfittarne per scuotere via i ciottoli e la sabbia che si accumulava tra le dita dei piedi e sulla suola degli zoccoli, che sarebbe stato un grave danno portare tutto questo materiale in casa. Quell’albero era il mio albero, custodiva i miei segreti, le prime storielle che raccontavo a mia madre, era il mio grande amico silenzioso ed aveva un nome che io stessa gli avevo dato.
Un anno tornai in Sicilia, per le vacanze estive e non lo trovai più: al suo posto svettavano le fondazioni in cemento e ferro di un palazzo che prometteva di arrivare fino al cielo. Erano iniziati gli anni delle grandi costruzioni, della cementificazione selvaggia, degli appartamenti “vista mare” accatastati gli uni contro gli altri. Il mio paesino andò incontro ad un’espansione edilizia inconcepibile, per i miei occhi di bambina, che lo portò, in una decina di anni, a triplicare la propria concentrazione urbana. Del mio albero non c’era più alcuna traccia terrena, nessuno ne ricordava nemmeno l’esistenza. Nessuno tranne me.
Fu questa la mia prima storia: avevo 5 anni ma mio fratello Andrea mi aveva già insegnato a leggere e scrivere. Decisi di raccontare una fine diversa per quell’amico, per fare in modo che non venisse dimenticato: gli misi accanto una piccola ninfea da proteggere, con la quale lottare per resistere al cemento. Mio zio la pubblicò nel suo giornale locale a puntate.
Da allora non mi sono più fermata. Sono una scrittrice, dunque? Ho scritto, a scuola, storie di Pirati, Filibustieri, eroi coraggiosi che conquistavano i cuori delle mie amiche, durante le lunghissime ore di matematica e disegno, riempiendo blocchi di appunti che ancora conservo, storie che non potevano avere fine, perché la bellezza era tutta in quel sospeso, tra un pericolo e l’altro, in quell’amore che non si poteva nemmeno sussurrare, perché contrastato da mille avversità, com’erano le nostre prime cotte, per ragazzi irraggiungibili, bellissimi, per i primi divi dei telefilm e dei film, che non potevano esistere o accorgersi di noi, se non dentro una storia. Una storia scritta da me.
E poi bussò la vita alla mia porta: un po’ mi travolse, un po’ mi ci tuffai io, a capofitto, come fanno tutti i giovani, alla ricerca della propria identità. L’ispirazione prese un’altra forma, perché la mia esistenza stava cambiando e, con essa, i mattoncini con i quali costruire le fondamenta della mia vita. I primi dolori, i primi addii, le partenze che non hanno ritorno, quelle che non ti aspetti, quelle che l’infanzia non riesce nemmeno ad immaginare, perché le persone non possono semplicemente scomparire, ad un certo punto, perché siamo programmati affinchè il nostro cervello non concepisca altro che l’immortalità.
Scrivere mi ha accompagnata, offrendomi una chiave di lettura diversa per ciascuno degli avvenimenti della mia vita. Ho imparato presto, dai grandi Classici della letteratura, ad amare la lettura più di ogni altra cosa. Scrivere non ne è che la diretta conseguenza. Ho scoperto che gli uomini non sono “Cari agli Dei…”, perché tentano di plasmarsi da sé i propri destini e questa capacità speciale, tutta umana, di tenere la testa alta e la barra dritta, contro tutto e tutti, quando il cuore chiama ed i sentimenti ci pongono davanti a scelte che prima non erano nemmeno nei nostri più remoti pensieri, è ciò che più mi colpisce e mi spinge a continuare a scrivere.
Ricevo ispirazione per scrivere un libro da ciò che vedo ed ascolto, dalle storie che “origlio” stando seduta in treno, oppure in fila alla posta, dai brandelli di vita che raccolgo mentre lavoro, con la gente, con le persone ed incontro, per mestiere, l’umanità più varia e disparata. Ho un cervello che funziona in una maniera tutta sua, che archivia e cataloga senza che io me ne renda conto e che poi, di notte, elabora e ripropone questi pezzi, divertendosi a ricostruirli come più gli aggrada, come se le vite degli altri fossero dei mattoncini con i quali comporre un quadro sempre nuovo e pieno di colori.
Sono, quindi, una scrittrice? Ritorno alla prima domanda e la mia risposta è: non ne ho idea.
Sono solo una ragazza con la passione per i sogni e per il racconto. Quello che mi piace fare, con le storie che sento, con le parole che le riempiono, è dare loro una seconda possibilità.
Se questo può definirsi essere una scrittrice allora sì che lo sono e vorrò continuare ad esserlo per il resto dei miei giorni.
